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Ennio Morlotti (Lecco, 1910 - Milano, 1992)

1770

Limoni

32.jpg

olio su tela, 1960

cm. 52x32 

donazione Bianchedi - Bettoli/ Vallunga, 2010

L’opera si inserisce in un anno chiave all’interno del percorso espressivo di Ennio Morlotti, cioè il 1960, anno in cui l’artista entra in contatto con il paesaggio ligure, uno dei luoghi cardine della sua pittura.

Il richiamo della luce del Mediterraneo, di un paesaggio dolcemente aspro e ricco di accensioni vitali, entra meravigliosamente nel suo sguardo. La sua visione si fa gradualmente più nitida e dal disfacimento informale del decennio precedente passa a una maggior definizione formale, a una lenta ma inesorabile oggettivazione dell’identità tematica.

Di densità organica, ricercata dichiaratamente dall’artista, l’opera rappresenta un esempio bellissimo. Una coralità di verdi profondi e boschivi, raccolti da una materia sontuosa accesa dallo splendore di accensioni di porpora e viola disegna un intrico di steli, foglie, frutti.

Anche negli anni precedenti molte Nature morte erano state per lui una fonte di ispirazione primaria. Al pari del paesaggio dell’Adda, di Imbersago, delle bagnanti, dei nudi femminili, fiori, carciofi, campi di granoturco, centauree, calendule erano entrati nel suo mondo come presenze prepotentemente vitali, segnate da una sorta di urgenza espressiva.

Ciò che emerge da questi nuclei tematici è però sempre la poetica di Morlotti. In particolare, la sua scrittura organica incide come un tatuaggio sulla pelle della tela una sensualità in fieri, che ha a che fare con una fine che è sempre inizio di altre storie.

È il racconto della metamorfosi continua delle cose della terra, struggente certo, come tutto ciò che cambia e da cui ci si deve distaccare, ma sempre affascinante e incommensurabilmente viva.

Questi vegetali preziosi, bellissimi nel loro senso di palpito naturale, si lasciano toccare dallo sguardo attraverso una grazia carnale, di corpo vissuto, immerso in una fusione panica con la natura, sgranati come frutti di sangue e pelle, gemme pulsanti di bellezza tattile, profumata di note aspre e boschive.

Non vi è differenza tra questi e un nudo femminile: certa è sempre la loro bellezza, la loro sacralità di materia luminosa e il loro essere, agli occhi dell’artista, sempre una ierofania.

 

N. inv. 1770

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