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Senza titolo
china su carta, 1952
cm. 35x50
donazione Bianchedi - Bettoli/ Vallunga, 2010
Il 1952 è, all’interno del percorso pittorico di Ennio Morlotti, un anno cruciale, di rivoluzione deflagrante all’interno del suo personalissimo e struggente modo di vivere e sentire l’arte.
Dello stesso anno è il manifesto dell’Art Autre di Michel Tapiè. Morlotti proprio quell’anno ritorna in Brianza, ad Imbersago. Ha già quarantadue anni e dal ’37 si dedica alla pittura, nel ’40 è stato tra gli artisti di Corrente e nel ’47 con quelli del Fronte Nuovo delle Arti.
È stato due volte a Parigi ed ha frequentato lo studio di Picasso, conosciuto Wols, Braque, De Staël. In quel periodo si è avvicinato ad una pittura nella quale l’influsso della grammatica picassiana si stempera in una fluidità espressiva ed organica di matrice lombarda. Ma deve ancora trovare, pur nella produzione già straordinaria, una sua prospettiva estetica ed esistenziale, un personale punto di approdo che diventi anche un nuovo luogo da cui partire per il suo Viaggio di artista.
Quel luogo lo trova proprio nel ’52, quando in Brianza riscopre le brume lombarde, gli umori grassi e corposi della terra, della nebbia che sfalda i contorno. La superficie pittorica allora diventa per lui non luogo di trascrizione della realtà o di un’idea di realtà, ma topos di accadimento esistenziale.
La sua terra è germinante, incubatrice di semi e di vita, abbraccio caldo di morte e trasformazione, un cerchio che si chiude dentro la natura. Ogni sua opera, da questo momento, non segna un momento definitivo, ma il lento sedimentarsi nel luogo, teatro di una definitiva dissolvenza della struttura formale nel corpo della materia pittorica: questo è lo scenario del cupio dissolvi, del continuo fluire delle cose nella natura naturans mai matrigna per Morlotti, ma mater accogliente e sempre rigenerante.
Questa carta, presumibilmente preparatoria alla serie dei Paesaggi dell’Adda, mette in scena un gesto che, da ragionato, si è fatto avvolgente e fluido nella determinazione del corpo della visione. La pennellata si raccoglie in un abbraccio liquido, ma allo stesso tempo determinato.
La grafia convulsa si è ormai allontanata dal rigore picassiano, è diventata morbida e convulsa, quasi automatica: un vortice di segni casuale solo in apparenza, ma in realtà ragionato, reso denso dalla trascrizione delle energie telluriche, del fremito delle terre rese grevi e pulsanti di umori.
Si intravedono quindi prepotentemente le caratteristiche di tutta la pittura successiva di Morlotti, insieme alla memoria, maturata e sedimentata, dell’informale storico conosciuto nei soggiorni francesi.
N. inv. 1772