Salta navigazione
PINACOTECA DI FAENZA
[t] Apri la barra con i tasti di accesso   [x] Nascondi la barra con i tasti di accesso   [1] Contrasto normale   [2] Contrasto elevato   [3] Testo medio   [4] Testo grande   [5] Testo molto grande   [n] Vai alla navigazione principale   [p] Vai al contenuto della pagina   [h] Home page

Contenuto principale

Giovanni Battista Armenini (Faenza, 1533 - 1609)

155

Assunzione della Madonna

906.jpg

olio su tavola, 1560 - 1590 ca.

cm. 340x220 

dalla chiesa di Santa Maria Foris Portam di Faenza, soppressioni napoleoniche

L’opera raffigura la Madonna, circondata da putti e angioletti, che viene assunta in cielo in un fascio di nubi e di luci; sulla terra, invece, si notano alcuni Apostoli e altri astanti meravigliati che osservano la scena e il sepolcro vuoto su cui è posta la firma dell’artista.
Durante tutto il Cinquecento si assiste ad una grande produzione di opere d’arte aventi come tema l’Assunzione della Vergine.
L’attività di pittore dell’Armenini non è costellata di molte opere. Egli divenne famoso grazie al suo trattato Dei veri precetti della pittura, edito a Ravenna nel 1587. Nel trattato fa riferimento ad una sua formazione nella cerchia di Perin del Vaga a Roma, racconta di aver realizzato un'Assunzione della Vergine nella bottega di Bernardino Campi a Milano. E’ impossibile, come rileva anche Anna Colombi Ferretti, che questa possa essere identificata con l’Assunzione faentina, proveniente dalla chiesa di Santa Maria ad Nives di Faenza, dove nel 1777 fu segnalata appesa al coro. Secondo la Ferretti l’opera fu realizzata negli anni in cui Armenini tornò a Faenza, poiché, anche se vi sono riferimenti alla pittura di Perin del Vaga, faentino è il tono della pittura, inoltre la figura inginocchiata a destra mostra dei legami con Jacopone Bertucci, di cui tre opere sono conservate in questa sala. Secondo Anna Colombi Ferretti"un certo gusto per le figure grandi, dai contorni accusati, in uno sforzo di larga monumentalità al quale si accompagna, e quasi si giustappone, un cromatismo assai banale" sembra rimandare ad un altro pittore faentino, Giulio Tonducci.

La stessa Colombi Ferretti sostiene che "il curriculum soprattutto disegnativo che l’Armenini testimonia di se stesso viene confermato dall’impressione che il maggiore impegno del pittore sia stato assorbito per la composizione della tavola, mentre per la stesura, sebbene assai curata, appare scolastica e generica". L’ipotesi su quest'opera fatta da Anna Colombi Ferretti è che "sia stata dipinta come unico saggio pittorico richiesto non ad un pittore di professione, ma ad un “chierico” della pittura, teorico delle tecniche e della convenienza dei dipinti ai loro diversi livelli di destinazione. L’opera avrà avuto, con ogni probabilità, carattere pubblico; ma deve essere stata rimossa dal suo altare, forse abbastanza presto per i gravi difetti tecnici che ne compromettevano la leggibilità.

Un restauro del 1981, realizzato per conto dell’Istituto Beni Culturali della Regione Emilia-Romagna da Mirella Simonetti, ha permesso anche uno studio tecnico dell’opera dal quale si è appurato che "l’Armenini non fu esigente con il legnaiolo al quale commissionò la tavola dell’opera, composta di dodici assi in legno di pioppo, non piallate né levigate, di variabili misura e spessore, con andamento orizzontale, unite da farfalle ad incastro e due grosse traverse verticali. Su una preparazione a colla, stese uno strato di mestica oleo-bituminosa, come si usava nelle tele, e dipinse con colori mesticati e schietti, senza servirsi di velature (se non nel verde) né di vernici mentre nella pittura di qualità si usavano le vernici, per ravvivare i colori, e le mestiche venivano usate in gran risparmio e sempre senza coprire e con velature sottili."

N. inv. 155

Collegamenti a Social Networks