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Martirio di Sant’Eutropio
olio su tela, 1629 - 1648 ca.
cm. 271x178 (cornice di cm. 10)
dalla distrutta chiesa di Sant'Eutropio di Faenza, soppressioni napoleoniche
L’opera raffigura, in modo estremamente realistico e cruento, la scena del martirio di Sant’Eutropio. Il corpo del Santo, decapitato, è tenuto fermo da alcuni uomini, mentre la testa è a terra accanto ad un uomo che ne raccoglie il manto giallo e il pastorale. Dall’alto, l’Arcangelo Gabriele con la palma, simbolo del martirio, vola sulla scena. Il quadro fu eseguito per la chiesa di Sant’Eutropio a Faenza, l’opera fu poi acquisita dalla Pinacoteca in seguito alle soppressioni napoleoniche. E’ tradizionalmente attribuita ad uno dei due Manzoni di Faenza, la cui biografia è poco conosciuta. Nell’opera vi è poco della scuola faentina: ciò porta a pensare che l’artista non fu educato in patria ma fu probabilmente allievo o imitatore di Caravaggio.
Roberto Longhi ha esaminato attentamente Biagio Manzoni, definendolo caravaggesco di periferia, indicando come proprio nel Martirio di Sant’Eutropio il pittore sia giunto a un risultato esplicitamente senza decoro nel solco della tradizione caravaggesca, per il "verismo letterale che percorre l’opera intera, prona alle brutalità più evidenti nella perlustrazione del martirio: per non dire altro il collo mozzato del santo esposto in primissimo piano come in una mostra di salumeria fresca; il manigoldo che dopo la bisogna si allontana gaglioffo, scure sulla spalla, e simili".
Su quest'opera Daniele Benati ha scritto, nel catalogo della mostra che Forlì ha dedicato a Cagnacci nel 2008, che "stupisce la ricchezza dei rimandi che Manzoni è in grado di effettuare alla pittura romana di primo Seicento, a cominciare dallo stesso Caravaggio, qui citato nel manigoldo di spalle in giacchetta e brache rosse al polpaccio, tratto dal martirio di San Pietro in Santa Maria del Popolo".
N. inv. 134