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De Pisis Filippo

(Ferrara, 1896 – Milano, 1956)

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Luigi Filippo Tibertelli, detto Filippo De Pisis, nasce a Ferrara nel 1896. Il suo primo interesse artistico si manifesta nei confronti dell’attività letteraria, ma nel 1904 subentra quella pittorica grazie alla guida del professor Edoardo Domenichini. Nel 1914, terminati gli studi liceali, s’iscrive alla Facoltà di Lettere dell’Università di Bologna. In questo periodo frequenta personalità come Dino Campana, Giuseppe Raimondi, Marino Moretti, Umberto Saba e Giovanni Cavicchioli.

Durante tutto il suo percorso, letteratura e arte furono sempre presenti. Pubblica alcuni saggi su artisti minori del passato e s’interessa nello stesso tempo alle riviste avanguardistiche come La Voce e Lacerba. Scrive poi I Canti della Croara e La Lampada, una raccolta di poemetti.

Nel 1916 De Pisis incontra a Ferrara i fratelli De Chirico e Carlo Carrà. L’artista viene di conseguenza coinvolto nella poetica metafisica e nella teatralità del Futurismo. Contemporaneamente stringe rapporti epistolari con Max Jacob, Guillaume Apollinaire e Tristan Tzara. Il 1919 è caratterizzato da diversi importanti incontri, come quello milanese con Filippo Tommaso Marinetti, quello bolognese con Giorgio Morandi e Vincenzo Cardarelli e quello romano con Giovanni Comisso. Allo stesso anno risalgono due importanti tele, Il poeta folle e L’ora fatale. L’esperienza che l’artista vive dal 1916 al 1920 è prevalentemente letteraria, collabora, infatti, a riviste come La Brigata, La Raccolta e Valori Plastici.

Laureatosi nel 1920, si stabilisce a Roma, dove i musei e i ferventi ambienti culturali, come il Caffè Greco e il Caffè Aragno, lo portano a valicare nuovi confini pittorici. Ciò è testimoniato dal nuovo stile di De Pisis animato da nuovi soggetti e caratterizzato da un tratto discontinuo che Eugenio Montale definisce pittura a zampa di mosca. Inoltre il soggiorno romano lo porta a relazionarsi con i poeti della Ronda e con Armando Spadini. Nel 1920 il pittore espone per la prima volta diversi disegni e acquarelli alla Galleria d’Arte Bragaglia. Nel 1925 presenta due dipinti, Cibi agresti e Natura morta, alla III Biennale romana. Non si devono dimenticare i numerosi spostamenti che l’artista compie dal 1920 al 1925: Bologna, Ferrara e Assisi sono solo alcune delle mete da lui raggiunte.

Nel marzo del 1925 De Pisis si trasferisce a Parigi dove viene rapito dai tesori del Louvre ed entra in contatto con l’arte di Manet, Corot, Matisse e dei Fauves. Nel 1927 frequenta Soutine e Braque e l’influenza degli impressionisti francesi alleggerisce il cromatismo della sua pittura portandolo a rendere al meglio la freschezza della fuggevole impressione. La Ville Lumière gli dona l’opportunità di ricongiungersi con amici passati come De Chirico, Savinio e Palazzeschi. Nel 1926 De Pisis espone tre tele alla I Mostra del Novecento Italiano, presenta per la prima volta un quadro alla XV Biennale di Venezia e si aggiudica una personale presentata da De Chirico alla Galerie au Sacre du Printemps di Parigi.

Negli anni seguenti partecipa alle numerose esposizioni d’arte italiana in diverse città europee e dal 1931 al 1943 espone a tutte le Quadriennali romane. Nel medesimo arco temporale interviene in diverse riviste come L’Italia letteraria, Arte e L’Ambrosiano. Nel 1939 abbandona Parigi con l’incombere della guerra e, ritornato in Italia, realizza numerosissime tele dai multipli soggetti: nature morte, ritratti e vedute di città. In questi anni realizza delle litografie e continua ad esporre i suoi lavori in Italia e all’estero. Nel 1947, appena ritornato nella capitale francese, riparte per l’Italia a causa di gravi problemi di salute. Non lascia più il suo paese natale ed è costretto a trascorrere lunghi periodi in diverse case di cura.

Nel 1951 il Castello Estense di Ferrara accoglie una grande antologica dedicata all’artista. I suoi ultimi lavori sono le conosciute “tele di ragno” e alcuni schizzi ad inchiostro risalenti ai primi mesi del 1953. Trascorre gi ultimi anni di vita a Villa Fiorita di Brugherio. Poco dopo la sua morte, nel 1956, la XXVIII Biennale di Venezia gli rende omaggio con un’imponente retrospettiva di sessantacinque opere presentate dal catalogo curato da Francesco Arcangeli.

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