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PINACOTECA DI FAENZA
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Salvatore Fiume (Comiso, 1915 - Milano, 1997)

1762

La città di statue

34.jpg

olio su faesite, 1963 (?)

cm. 64x64

Firmato in basso a destra "S.Fiume"

donazione Bianchedi - Bettoli/ Vallunga, 2010

La Città di statue è un paesaggio carico di suggestioni oniriche. Un’isola abitata da sculture gigantesche, da personaggi senza nome che si confondono con il territorio stesso, come madrepore inglobate nella roccia.

Eliminato ogni filo d’erba, ogni corso d’acqua, ogni nuvola passeggera, tutta la città è avvolta in un silenzio carico di attesa, che trasforma architettura e natura in un luogo del mito. Il tempo che governa la composizione appare fissato per sempre.

La città di statue è un’opera databile ai primi anni Sessanta, ma si riallaccia idealmente alla stagione di Fiume dell’immediato dopoguerra. Questa è stata definita metafisica, in cui l’artista crea appunto un mondo immobile di totem.

Tutta la pittura di Fiume si muove tra due polarità contrapposte: da un lato una fisicità prorompente e incontenibile, dall’altro una sospensione del tempo e della vita. Non si possono capire a fondo le sue visioni di odalische e di geishe, di tauromachie e di bestiari onirici, se non si riflette sull’origine di quel vitalismo. Il presagio di un mondo immobile, di un popolo di figure che si dispongono sulla tela come i pezzi di una scacchiera.

Pur riallacciandosi alla metafisica dechirichiana, però, Fiume rivela subito una diversa personalità espressiva. Per lui non il manichino, ma l’uomo, sia pure stilizzato, immobile, scolpito nella pietra, è il protagonista dell’opera. E, più ancora, lo è la donna.
Le sue statue fermano il corso della vita e del tempo, ma non dimenticano la loro paradossale umanità, che emerge anche nel teatro marmoreo che le circonda. I suoi non sono “dei ortopedici”, come Longhi definiva le creature dechirichiane, ma una famiglia di persone viventi e sessuate, anche se tramutate in pietra da un inspiegabile incantesimo.

N. inv. 1762

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