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Cristo morto sostenuto da tre angeli
cartapesta policroma a rilievo, seconda metà del XV sec.
cm. 85x78 (cornice di cm. 5)
acquistato dall'antiquario Ernesto Monti, 1937
Databile attorno al 1460, quest'opera è pervenuta in Pinacoteca per acquisto dall’antiquario Ernesto Monti nel 1937.
Il Cristo, quasi seduto sul bordo del sarcofago, è sorretto da tre angeli piangenti. Il suo corpo sporge dalla tomba fino al di sotto delle ginocchia e i fianchi sono coperti da un doppio perizoma, bianco e azzurro. Il volto dell’angelo centrale, fortemente espressivo, rappresenta il culmine sia della composizione piramidale che forma assieme alle braccia del Cristo sia della drammaticità espressa dall’opera.
Il manufatto in cartapesta è una rara testimonianza di opere realizzate con una tecnica quanto mai economica e al contempo effimera. Sono opere che si inseriscono in quell’artigianato di alta qualità artistica destinato alla devozione privata di cui fanno parte anche le ceramiche invetriate, le opere in terracotta policroma e le sculture lignee, tutti prodotti perlopiù eseguiti su esempio di modelli marmorei o bronzei.
Nell’epoca rinascimentale opere di questo tipo conobbero una discreta fortuna e diffusione. Il successo di una composizione particolarmente riuscita produceva fin dalla nascita dell’opera di circolazione di “multipli” in materiale povero come stucco, terracotta, cartapesta fino alle riproduzioni a stampa che si diffusero a fine Quattrocento.
Il modello del rilievo faentino è sicuramente attribuibile alla bottega di Donatello. Infatti, un richiamo puntuale a una scultura del maestro si riscontra nella posa del Cristo, la cui testa, quasi di profilo, si appoggia sulla spalla destra. Questa posa trova corrispondenza con il Cristo morto conservato a Londra.
L’esasperazione dei tratti fisionomici che caratterizza gli angeli dolenti trova un parallelo siginificativo con alcune opere padovane e ancor più nei pannelli dei Pulpiti eseguiti da Bartolomeo Bellano sotto la direzione di Donatello per la Chiesa di San Lorenzo a Firenze. Proprio a Bartolomeo Bellano, collaboratore di Donatello, viene generalmente attribuita l’opera faentina.
N. inv. 204