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San Girolamo
legno policromo, 1460 ca.
cm. 141x35x26
dalla cappella Manfredi della chiesa di San Girolamo all'Osservanza in Faenza
a seguito delle soprressioni postunitarie, 1867
La pregevole scultura lignea, capolavoro tra i più importanti della Pinacoteca Comunale di Faenza, proviene dalla cappella della famiglia Manfredi della Chiesa dell’Osservanza. Nel 1444 Papa Eugenio IV autorizzò i Francescani Osservanti ad insediarsi nel Convento Cluniacense di Santa Perpetua, mutando la dedicazione in San Girolamo.
La committenza dell’opera è ascrivibile ad Astorgio II Manfredi (1412-1468), signore della città di Faenza dal 1443, assoldato dalla Repubblica Fiorentina fin dal 1446. Astorgio aprì cosi una stretta relazione con la famiglia De’ Medici.
Durante gli anni del suo governo non poche sono le opere d’arte eseguite da artisti toscani. La data d’esecuzione del San Girolamo è circoscrivibile attorno al 1454-1455. Proprio all’anno 1454 è data una lettera scritta da Faenza da Piero di Cosimo de’ Medici in cui si menzionano alcune opere di Donatello, probabilmente sotto la sua custodia dopo la partenza dello scultore da Padova nel 1453.
La scultura faentina era posta, come si è detto, in una nicchia della cappella dedicata a San Girolamo, dove lo stesso Astorgio venne sepolto nel 1468.
Il primo autore ad attestare la presenza dell’opera donatelliana a Faenza è Giorgio Vasari che nelle sue celebri Vite assegnò due opere faentine a Donatello (che «nella città di Faenza lavorò di legname un S.Giovanni et un S.Girolamo, non punto meno stimati che l’altre cose sue»).
Il santo è raffigurato in piedi, completamente nudo. La testa, inclinata verso sinistra, è caratterizzata dalla folta chioma incanutita, che ricade sul petto insieme alla lunga barba. Nella mano sinistra regge un sasso, col quale si batte il petto, nella mano destra reggeva invece una lunga croce, oggi perduta. Mirabile è la perizia con cui lo scultore fa affiorare le vene dalla pelle. La disposizione delle membra induce lo spettatore ad assumere un punto di vista non frontale, grazie al quale si evidenzia l’effetto serpentinato della scultura. Questa posizione della statua, con il volto girato e un po’ inclinato, il busto che accenna una torsione, la gamba sinistra avanzata e contrapposta alla spalla dello stesso lato che invece è arretrata, anticipa il gusto che si affermerà nella grande scultura del Cinquecento, si pensi ad esempio al Mosè di Michelangelo.
Forse la nudità del Santo era velata al tempo da un perizoma in stoffa.
L’opera ha molti tratti tipici dello scultore fiorentino, «inventore del penitente San Girolamo presentato nudo». Tra questi Italo Furlan ha segnalato «la struttura poderosa del volto incorniciato dalle ciocche ricadenti e dall’avvolgente sensibile barba, le orbite oculari profonde, la bocca socchiusa e gli alti zigomi, il piatto trapezoidale torso stretto ai fianchi come nel David, le vene segnate».
L’opera si caratterizza anche per la ricerca di un effetto insieme naturalistico ed espressionistico volto ad esaltare l’ideale mistico della vita ascetica.
N. inv. 168